Un fiammifero, sostenuto da mani invisibili,
emerge dal buio con il suo fusto bianco
e la capocchia integra.
Una azione fa scintillare la capocchia
prendendo fuoco, allontanando l’oscurità attorno a sé: invigorito dall’intensità
del momento, si imprime indelebile
nello spazio circostante.
Calda e rassicurante, familiare e allegra,
abbraccia l’anima ristorandola dalla tetra
e monotona esistenza che ci accompagna.
Ma essa ci appare anche distante,
guardinga e fredda, gettandoci in uno stato di ansia
di esperienze vissute che si ripetono.
Il fusto lentamente si consuma
e la luce, sempre più oppressa dalle tenebre,
ansiose di riguadagnarsi lo spazio perduto,
diventa fioca: l’unico compagno
è un fil di grigio fumo che si alza da essa
spargendo i suoi profumi sull’aria.
Quest’ultimo tenta disperatamente
di rimanere aggrappato a quel fusto bianco
da cui prende vita ma anch’esso, come ogni cosa viva,
si perde tra le tenebre e se ne perde il ricordo.